In occasione dell'invito da parte del Petrarubra Festival 2021 (30/05 - 14/06), Speculum! presenta Archeologia Futura, un video-essay dalla durata di 50 minuti.
Archeologia futura affronta l'Epoca dell'Antropocene e la catastrofe ecologica in atto attraverso un’esplorazione finzionale e teorica del destino del pianeta, saltando tra distopia e utopia, collasso e speranza.
La première è prevista per il 14/06 alle ore 17.00, in streaming sul canale Youtube del festival.
Nel frattempo, come al solito, potete continuare a seguirci su Instagram o, se volete, cogliere l’occasione per offrirci un caffè virtuale:
Con Archeologia Futura si è voluto intendere un particolare tipo di sguardo al nostro tempo presente. Attraverso il dispositivo della narrazione, lo scenario raccontato presenta il Pianeta Terra diecimila anni dopo la fine della storia. La specie umana, emigrata su un altro pianeta per sfuggire all'irreversibilità della catastrofe ecologica, ritorna sulla Terra per ricostruire la storia del suo collasso.
A partire dal tema delle rovine e degli scarti, Archeologia Futura vuole indagare la catastrofe ecologica e la struttura economica attraverso cui essa si propaga.
C’è una differenza fondamentale fra una rovina e uno scarto: entrambe indicano ciò che rimane di una civiltà perduta, ma le prime avevano un valore per il popolo di quella civiltà – si parla di templi, case, oggetti cari – mentre i secondi sono ciò che quel popolo non valutava, e per questo ha gettato via. Gli scarti giungono a noi, nonostante il loro essere gettati via. Nello spirito della fiction speculativa all’inizio, dunque, quali saranno i nostri scarti? L’obsolescenza programmata, l’impossibilità di riparare i prodotti tecnologici e l’utilizzo di plastiche e materiali sintetici a basso costo faranno sì che ciò che rimarrà di noi saranno principalmente frammenti più o meno conservati di telefoni, elettrodomestici, pc e server. Timothy Morton, in Noi, Esseri Ecologici, spiega che uno dei punti centrali del pensiero ecologico è la comprensione che “non esiste alcun altrove”. Nel sistema capitalistico, noi siamo abituati a mettere i rifiuti dove non possiamo vederli, ma ci dice Morton, questo altrove è illusorio: pensare ecologicamente vuol dire pensare tutto come profondamente ed essenzialmente interconnesso. Se non esiste altrove spaziale, la plastica ed in generale gli scarti ci insegnano che non esiste nemmeno un altrove temporale. Il litio della batteria scartata non occupa e inquina solo uno spazio, ma un tempo: un tempo che noi non vivremo ma che qualcun’altro vivrà.1
Come ha portato alla luce uno studio pubblicato a fine 2020 su Nature, la massa antropogenica, vale a dire l’insieme dei materiali prodotti dall’uomo, sta rapidamente doppiando l’intera biomassa disponibile sul pianeta. Si tratta di più di 30 miliardi di tonnellate l’anno.
Un punto di ripartenza, per superare questa cultura dello scarto, potrebbe essere il salvagepunk. Questo termine, coniato dall’autore di fantascienza China Miéville, gioca sul significato dell’inglese salvage: questa parola, come nome, significa “resti”, “rottami” mentre come verbo può essere tradotto con “salvare”, “mettere al sicuro qualcosa di danneggiato”.
Il salvagepunk è sia un genere letterario che un’attitudine verso i disastri del passato e del futuro: esemplificato da film come Mad Max o dai romanzi dello stesso Miéville, il salvagepunk immagina mondi futuri in cui l’umanità riparte dagli scarti della nostra società, crea strategie creative di adattamento post-collasso e ricostruire una nuova tecnica. Come il progetto Collapse OS o Low-Tech Magazine dimostrano, ci sono tecnologie abbandonate nel passato da cui possiamo ancora imparare molto: l’immondizia potrebbe essere la via maestra per la rivoluzione. Serve una civiltà per costruire l’iPhone: una civiltà fragile, materiale, ingiusta ed ecocida. Da questa civiltà, possiamo ancora uscire vivi. Quando la distopia si trova nei rapporti ufficiali dei governi o delle agenzie per il clima, è ai limiti della nostra cronostoria che dobbiamo cercare l’utopia e la speranza. Rovistando tra questi limiti, potremmo concretizzare e progettare la nostra fuga.2
Più l’Antropocene avanza, più si farà urgente la necessità di progettare un mondo salvo dalla catastrofe ecologica. La letteratura fantascientifica, in particolare le narrazioni Solarpunk, rappresentano un primo esercizio d’immaginazione di un’utopia ecologica. In questo, la letteratura attraverso l’esercizio immaginativo sia dell’autore che del lettore, ci disvela scenari alternativi dell’esistenza, può condurci a nuove considerazioni morali ed escogitare soluzioni non ancora pensate.
L’utopia però non è solamente un luogo fantastico, il luogo che non c’è, ma quello che non esiste ancora e verso la cui realizzazione dobbiamo tendere il nostro sforzo.
Un’immagine utopica della natura è ciò che, con l’inasprirsi della crisi ecologica, si imporrà nell’immaginario collettivo sempre più come oggetto delle fantasie e delle speranze. L’utopia ecologica, quello scenario alternativo in cui la nostra specie è riuscita a superare per sempre la dicotomia natura-cultura salvando il pianeta dalla catastrofe climatica, sta invadendo il nostro spazio di desiderio. Il presagio oscuro al centro di un’ecologia della paura deve essere sovvertito da un approccio diverso all’ecologia stessa; quella metodologia propria della prassi utopica, che si realizza proprio in quello spazio del desiderio dove la tensione è scaturita dallo sforzo nel cambiare se stessi e il mondo intero . Si tratta di quello stesso sforzo che bell hooks definisce yearning, cioè il desiderio di un mondo a venire in cui questo mutamento si è attualizzato, che per essere raggiunto deve rimanere ancorato nello spazio del mentale come utopia. Un’ecologia della bellezza provvede quindi che quelle riparazioni dovute dalla nostra specie si esplicitano attraverso strategie di cura, dove la volontà di un pianeta sottratto alla catastrofe diventa la ragione dell’utopia verso cui ci impegniamo.3
Archeologia Futura si muove dalle montagne di rifiuti alle miniere di litio, dagli sguardi alieni al sole dell’utopia, attraversando passato, presente e futuro in una rotta ondivaga e sperimentale.
Un ringraziamento speciale a: Anna Fasolato (voce); Eugenio Enrico (voce e musiche); Giuseppe Cordaro (musiche).