Ciao! Eccoci al quinto episodio di Filosofia dal Futuro.
Oggi vi parleremo di bioarte attraverso un articolo di Vincenzo Grasso. In particolare, affronteremo gli intrecci tra arte, biologia e scienza. Può la bioarte mutare la nostra considerazione di ciò che è vita e al contempo attuare un processo di consapevolizzazione ecologica?
Infine, in questo episodio inaugureremo una nuova rubrica in collaborazione con -ness, collettivo artistico, dal nome Transghost Club.
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Petunie Mutanti, Girini Burocrati
di V. Grasso
v Archeologia Futura
Immaginiamo una creatura aliena che, giunta sulla Terra dopo la disfatta della specie umana, si ritrovi a risolvere un compito particolarmente ardito. Immaginiamo quindi che questa creatura si metta alla ricerca dell'Arte, un concetto vago rinvenuto su alcuni stralci di documenti sopravvissuti alla condanna del tempo, con pochi esempi da associare ad esso.
Insieme con la sua équipe di xeno-ricercatori alla volta della ricostruzione della storia terrestre, riescono finalmente ad individuare un luogo al cui interno, secondo le loro teorie, è possibile asserire con certezza che si trovino opere d'arte.
Il luogo in questione è un magazzino, un parallelepipedo in acciaio che non rende giustizia alle grandi maestrie architettoniche della specie umana. Una volta compiuto il proprio ingresso all'interno del magazzino, il compito sarà allora quello di designare le opere d'arte all'interno di un interminabile groviglio di oggetti incatalogabili.
Lo Xeno-Archeologo, incaricato di svolgere il compito in solitudine, trascorrerà i suoi giorni visitando il magazzino e passando in rassegna ogni oggetto che il suo sguardo può cogliere. La sua prima strategia, quella di riconoscere gli artefatti delineando somiglianza di famiglia tra loro, viene messa in crisi. Infatti, all'interno del Magazzino nessun oggetto è uguale o simile all'altro, ognuno di essi è unico nel suo genere.
Il Magazzino è un ricettacolo che comprende libri, quadri, statue, dischi & vinili, ma anche letti, sedie, strani strumenti per l'illuminazione, sanitari, scatole contenenti spugnette per l'igiene domestico. La significatività di ciò che vede sembra sfuggire allo Xeno-Archeologo.
Le visite si protraggono per un'intera settimana, fin quando la perlustrazione degli articoli presenti nel magazzino non è stata portata a termine. Alla fine, corrucciato, abbandona il Magazzino e si appresta a riportare le sue scoperte ai compagni, desiderosi di conoscere finalmente l'arte. Tuttavia, lo Xeno-Archeologo torna senza nulla e alla domanda posta: "Che cos'è l'arte?", risponde: "Potrebbe trattarsi di qualsiasi oggetto contenuto là dentro o nessuno."
v Biologie creative
In un suo articolo di prossima pubblicazione, il filosofo dell'arte G. Currie si domanda se una forma di vita possa essere considerata un'opera d'arte. Scrive:
"We are familiar with the idea that a cow may be a work of art—when preserved in formaldehyde. What about living cows? Not those that might be herded into the Tate Gallery in search of prizes, but uncurated cows, grazing peacefully in places with few institutions to constitute an art world, no prizes to be had, and no general term in use that translates naturally as art."
Lasciando da parte le pratiche artistiche che si focalizzano sulla conservazione di corpi animali con l'aiuto della formaldeide, Currie ci chiede di supporre un caso bizzarro: può una mucca vivente essere un'opera d'arte? Non una mucca speciale, esposta al Tate Gallery, ma una mucca comune che pascola pacificamente.
L'esempio a cui fa riferimento è quello della tribù Dinka, nativa del Sud Sudan e riconosciuta per la sua cura nell'allevamento dei bovini. Nota Currie, sulla base di alcune ricerche antropologiche ed etnografiche, che l'apprezzamento che i Dinka manifestano verso le loro mucche è certamente di natura estetica e più prossimo a quel tipo di considerazione che si rivolge verso un artefatto che quella che si riserva alla contemplazione della natura. In fin dei conti, scrive sempre Currie, l'allevamento non è qualcosa di propriamente naturale - ma è qualcosa che fanno gli umani, governandone la produzione e le loro caratteristiche. Certo, una mucca non è qualcosa che si produce come un oggetto tecnico, ma è quell'agency non-umana con cui si collabora nella creazione di uno curioso tipo di "artefatto" vivente di cui, con un'appropriata conoscenza delle categorie estetiche impiegate in relazione a una determinata cultura, si può godere di un'esperienza estetica. I Dinka si prendono cura delle corna dei loro bovini tagliandole in forme diverse e adornandole; non solo, discutono per ore dei loro colori, in un modo che ricorda molto più i critici d'arte che gli allevatori di bestiame, come afferma l’antropologo J. Coote.
Impiegare la categoria estetica come strumento interculturale ci apre a quella manifestazione dell'imprevedibile che il nostro Xeno-Archeologo potrebbe rinvenire all'interno del Magazzino. L'esempio delle mucche è solo un pretesto, molti altri casi affollano gli scaffali osservati dalla creatura aliena. Allo stesso tempo, la domanda non sarà più cos'è un'opera d'arte, ma quale legame si situa tra arte e vita biologica, insieme con una riconsiderazione dello stesso statuto del concetto di vita.
v Storia Naturale dell'Enigma
Immaginiamo che il nostro Xeno-Archeologo abbia portato con sé qualcosa dalle sue visite al Magazzino: a sua insaputa, quei fiori di petunia che ha raccolto da un’aiuola, sono quanto di più vicino
a quell’idea d’arte che stava ricercando.
Ripartiamo dal non-umano per ritornare all’arte.
Storia Naturale dell’Enigma è il titolo di un progetto artistico di Eduardo Kac (2003-2008). L’opera centrale del progetto è una petunia transgenica, o come l’artista stesso preferisce definirla una “Edunia”, una creatura mutante, metà petunia, metà umana, creata attraverso gli strumenti della biologia molecolare.
Edunia è stata creata integrando al suo DNA un gene proveniente da un campione di sangue dell’artista, responsabile di dare la peculiare tonalità di rosso alle vene che compongono l’aspetto dei petali. In altre parole, il sangue dell’artista scorre nelle vene del fiore. L’opera, commenta Kac, è la realizzazione concreta di una nozione di vita intesa nella sua continuità nell’intero spettro della biologia, tagliando trasversalmente tutte le specie. Edunia rappresenta proprio questa continuità, unendo in una nuova forma di vita il DNA dell’artista a quello della pianta.
Storia naturale dell’Enigma è prima di tutto, bisogna precisare, un’opera di bioarte. La bioarte è una pratica ibrida che coniuga insieme arte e scienza, attraverso l’uso di materiali biologici (cellule viventi, tessuti, organismi) e tecniche scientifiche, protocolli e dispositivi tecnologici. L’opera di Kac è solo una delle possibili ipostatizzazioni della bioarte: nella scorsa puntata di questa newsletter si è già parlato di Josiah Zayner, biohacker che concepisce il biohacking (la pratica di editing genomico possibile tramite la tecnologia CRISPR) come una performance situata tra arte e scienza; Vanitas (in a petri dish) di Suzanne Anker, dove elementi naturali e artificiali custoditi in piastre di petri suggeriscono nuove interpretazioni delle rappresentazioni di nature morte; nel 2007 l’artista Stelarc si fece impiantare chirurgicamente sul braccio un terzo orecchio composto di materiale biocompatibile.
La bioarte sfida lo statuto stesso dell’arte, quello della scienza; al contempo, la bioarte ridefinisce il concetto di museo e galleria (il caso di Edunia, quale spazio di collocazione nell’arte per il mondo vegetale?) e, in alcuni casi, come in quello a seguire, si concretizza in performance dove i partecipanti acquisiscono una rinnovata consapevolezza ecologica.
v Clinica della Salute Ambientale
Il concetto di vita viene esplorato dall’artista e ingegnera Natalie Jeremijenko in relazione con agency umane, non umane e inumane. In un processo di contribuzione continua tra le parti, o meglio, di intra-azione - termine usato dalla filosofa e fisica K. Barad per abbattere il dualismo soggetto-oggetto, dove ogni agency è considerata insieme con le altre in un processo di costituzione e trasformazione simultanea e reciproca – la vita viene catturata da Jeremijenko come una proprietà degli assemblaggi ecologici e non dei singoli individui.
Tutto questo trova spazio nel progetto Envirnmental Health Clinic, un laboratorio tra arte e scienza che concepisce la salute dell’individuo come necessariamente dipendente da quella ambientale. Offrendo nuovi sentieri di consapevolizzazione ecologica, l’artista riconsidera le relazioni che sussistono tra tecnologia, ambiente e società. Il progetto ha assunto la forma di consultorio per l’ambiente presso la NYU. In merito a esso, Jeremijenko dice:
“È un consultorio, come il consultorio di qualsiasi altra università, eccetto che le persone vengono al consultorio con preoccupazioni di salute ambientale, ed escono con ricette per cose che possono fare per migliorare la salute ambientale, mentre le persone che si recano ad un consultorio con preoccupazioni mediche escono con ricette per prodotti farmaceutici.”
La Clinica della Salute Ambientale elabora le sue prescrizioni in forma di protocolli, che danno vita ad ulteriori performance artistiche, coinvolgendo gli stessi pazienti. La realizzazione di queste pratiche include lo sviluppo di tecnologie con design alternativi, finalizzati alla convivenza multi-specie e alla sensibilizzazione ecologica. Ne è un esempio il The Tadpole Bureacratic Protocol, il Protocollo Burocratico dei Girini. I girini, creature particolarmente sensibili e prontamente ricettive ai livelli di qualità dell’acqua, costituiranno un dispositivo prezioso tra le mani degli impazienti che si recheranno alla clinica. A questi, verrà chiesto di adottare il girino e portarlo a spasso in un passeggino dotato di una capsula che racchiuderà il girino in un habitat alimentato con un campione della propria acqua locale. È consigliato battezzare il girino con il nome del burocrate responsabile della qualità dell’acqua nel territorio interessato. Ma il Girino Burocrate sarà soprattutto in grado di portare le persone insieme, sollevando la curiosità dei passanti con cui, all’occasione, discutere dei problemi legati ai problemi della salute ambientale più prossimi alle loro vite e avviando percorsi di sensibilizzazione.
I lavori, infatti, vengono presentati come pratiche di eco-mindshift, che portano il soggetto ad operare un cambio di prospettiva, sensibilizzandolo ad una più attenta percezione delle questioni ecologiche. Questa consapevolezza ecologica, che rappresenta la meta dello sforzo artistico di Jeremijenko, si situa in quell’orizzonte di ecologie creative, etichetta coniata dallo storico dell’arte T. J. Demos. Le ecologie creative sono le metodologie impiegate dalle pratiche artistiche nel loro coinvolgimento con i problemi ecologici, con il fine di esporre le contraddizioni insite nell’Antropocene.
Gli intrecci tra biologia, arte, scienza danno origine a pratiche incatalogabili, che riscrivono gli immaginari del nostro rapporto con le altre agency con le quali modifichiamo continuamente il mondo. In contrasto a una teoria rappresentazionale della vita si afferma una teoria della trasformazione,una biofilosofia, che si manifesta non all’interno dell’individuo, ma nell’emergere di una soggettività collettiva che si dischiude nella molteplicità di relazioni esteriori in cui ogni cosa è intessuta. Il pensiero ecologico con le sue manifestazioni nelle pratiche di resistenza, artistiche e non, trasforma l’umano in un contribuente attivo attraverso azioni di rimedio: scoprendo l’errore, può correggere e riscrivere l’interfaccia del suo stare con il mondo.
Chissà quali curiosi dialoghi potrebbero scambiare insieme lo Xeno-Archeologo e il Girino Burocrate.
Transghost Club (#1)
di -ness
-ness è un collettivo artistico
fondato a Venezia nel 2019 da Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian. I confini della ricerca si espandono tra le arti performative e gli studi queer. -ness sviluppa pensieri e pratiche a partire dall’identità Transghost.
Transghost spinge ai limiti il concetto di identità, fino allo sforzo estremo in cui tu potrai comprende cosa significhi l’essere e il non-essere contemporaneamente te stesso.
L’esercizio che segue è una pratica di conoscenza dell’identità Transghost in cui puoi sperimentare nel corpo la tua personale complicità con i valori espressi in
Transghost Manifesto.
Lascia dunque che il tuo corpo ceda al disagio e al piacere di ritrovarti Transghost.
Specchio riflesso
Materiale: uno specchio
Luogo: bagno di casa
Scopo: offuscare la propria percezione e disconoscere il nome anagrafico