Ciao! Eccoci al settimo episodio di Filosofia dal Futuro.
Oggi accogliamo un contributo sul biomimetismo, da parte di Costanza Torchia, ricercatrice di biotecnologia ambientale e micologia presso l’Università di Utrecht.
Può il codice della natura guidare il nostro sviluppo tecnologico? Che cosa si intende per biomimicry?
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BIOMIMICRY
di Costanza Torchia
Nel 1973 il filosofo norvegese Arne Naess conia il termine “Deep Ecology” (Ecologia profonda), in contrapposizione a “Shallow Ecology” (Ecologia superficiale), delineando così una nuova corrente di pensiero ambientalista. Secondo Naess, l’ecologia superficiale è antropocentrica e promuove la conservazione ambientale nei limiti dell’interesse umano. Colloca gli uomini in una posizione privilegiata rispetto alla natura, a cui assegna un valore meramente strumentale. Diversamente, l’ecologia profonda ha una visione olistica del mondo, non separa l’uomo dall’ambiente naturale e lo concepisce semplicemente come una piccola parte di un network di fenomeni interconnessi e interdipendenti. Si può dire che l’ecologia superficiale sia una filosofia riduzionista, mentre quella profonda sistemica.
Una pratica essenziale dell’ecologia profonda è la messa in questione di ogni aspetto della nostra società. Questo esercizio è alla base del “cambiamento di paradigma” descritto dal filosofo della scienza Thomas Kuhn. Secondo Kuhn, la conoscenza e lo sviluppo tecnologico sono caratterizzati da un andamento ciclico, in cui si alternano periodi di scienza “normale”, caratterizzata dall’imposizione di determinati paradigmi scientifici, e periodi “rivoluzionari”, che mettono in discussione i vecchi valori, producendo un cambiamento di paradigma, un nuovo frame in cui inquadrare il mondo. La scienza di Kuhn, infatti, non è distaccata dai valori morali, che anzi, secondo lui, sono la vera base e forza motrice della scienza. Senza un cambiamento di valori e di percezione non è possibile un cambiamento di paradigma. In questo spirito, Naess suggerisce nuovi valori, una nuova visione di ambientalismo nella quale la natura e il singolo sono una cosa sola, e la protezione ambientale diventa non una parte fondamentale e necessaria per la conservazione dell’uomo, ma un’inclinazione totalmente naturale dello stesso, che sa di essere solo una minima parte della rete della vita.
Proprio la vita, secondo Fritjof Capra e Pier Luigi Luisi, autori del volume The Systems View of Life, deve essere posta al centro del dibattito scientifico, in questa nuova visione ecocentrica della natura. Spesso siamo portati a credere che il vero fondamento della scienza siano la fisica e la chimica. Ma la fisica, spesso, non è sufficiente a descrivere ogni processo che avviene nei sistemi della vita (gli ecosistemi), in quanto non prende in considerazione la totalità dei processi. Pensare che la fisica sia il fondamento di tutte le scienze è un retaggio riduzionista, una fallacia cartesiana: il filosofo francese descrive, infatti, la filosofia come un albero in cui le radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami le altre scienze. Secondo Capra e Luisi, quindi, il cambiamento di paradigma ha bisogno innanzitutto di un cambiamento di percezione delle scienze della vita, ritenute da loro il vero fondamento della necessaria transizione “ecologicamente profonda”.
Ma cosa c’entra questa cornice teorica con il Bio-inspired Design, il Design ispirato alla natura? Il primo famoso designer della natura fu probabilmente Leonardo da Vinci, con i suoi tentativi di far volare gli esseri umani attraverso macchine ispirate al volo degli uccelli. Un esempio più moderno è la bionica, che, come suggerisce il nome, mette insieme biologia ed elettronica, producendo tecnologie che tentano di emulare modelli o sistemi biologici e/o fisiologici. Un altro esempio molto famoso di Bio-inspired Design è la chiusura attacca e strappa (comunemente conosciuta con il nome dell’azienda produttrice, la Velcro), concepita dall’ingegnere George de Mestral, il quale durante una passeggiata in un bosco ebbe l’intuizione di mimare la struttura di quei fastidiosi fiori di cardo alpino che si attaccano ai vestiti. Imitandone la struttura microscopica, de Mestral ha progettato un oggetto in grado di attaccarsi alle superfici senza colla, ma solo grazie alla struttura dello stesso.
Considerando la filosofia di Naess, pare evidente che queste tecnologie citate non si discostino particolarmente dalle scienze dominate dall’ecologia superficiale. Sebbene imitino la natura, il loro fine ultimo è di trovare soluzioni a problemi umani, senza tenere in considerazione l’ambiente circostante. L’ecologia profonda di Naess, invece, promuove tecnologie che nutrono la natura, anziché distruggerla. Così Janine Benyus ha compiuto un passo ulteriore: inserendo il Bio-inspired Design nel contesto naturale, ha introdotto il concetto di “Biomimicry”, definito come: “la pratica di prendere ispirazione dalla natura per risolvere problemi di design, in modo rigenerativo”.
L’idea alla base del Biomimicry Design è che le tecnologie migliori potrebbero essere già state inventate dalla natura. Studiando i design della natura, ovvero quei meccanismi vincenti sopravvissuti alla selezione naturale, ci si rende conto di come questi siano sostenibili per definizione, perché forgiati dal contesto naturale. Biomimicry è provare a risolvere un problema ponendosi la domanda: “cosa farebbe la natura?”.
Le soluzioni e tecnologie naturali seguono regole specifiche, i principi della vita. Al contrario, la maggior parte delle nostre tecnologie non segue questa regola, è distaccata dal contesto naturale e quindi non può essere sostenibile. La nostra chimica, per esempio, è molto diversa da quella della vita. Noi usiamo tutti gli elementi della tavola periodica, anche quelli tossici, per il semplice fatto che possiamo farlo. La vita usa (principalmente) solo sei elementi: carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo e zolfo. Ancora, la chimica della vita usa l’acqua come solvente, mentre noi usiamo potentissimi acidi, su cui poi applichiamo l’etichetta “non disperdere nell’ambiente”. Usiamo elementi tossici per aggiungere colore alle nostre tecnologie; usiamo tinture che inquinano, svaniscono e sono quattro volte meno luminose dei colori che la natura crea giocando semplicemente con la struttura microscopica. Le piume dei pavoni, ad esempio, hanno solo un pigmento marrone, così come i nostri occhi, perché i colori che vediamo in natura sono principalmente dati da microstrutture che riflettono la luce, non sono pigmentati. Immaginate quanto apparirebbero brillanti le nostre automobili se la loro superficie fosse composta di materiali di per sé trasparenti, la cui la struttura riflette la luce, creando colori che non sbiadiscono mai.
A questo si aggiunga lo sfruttamento dato dall’estrazione di materiali grezzi, che modifichiamo usando processi industriali inquinanti (alte pressioni e temperature), per la produzione di materiali duri come la ceramica, dimenticando che la madreperla delle conchiglie è invece due volte più resistente della nostra ceramica high-tech. Essa nasce dall’auto-assemblamento (a temperatura ambiente) di semplicissimi elementi che si trovano naturalmente nell’acqua di mare, la cui cristallizzazione è diretta dai molluschi attraverso un sistema di cariche elettriche: in sostanza il mollusco secerne proteine cariche che attraggono altri elementi carichi presenti nell’acqua, direzionandone così la cristallizzazione. Un simile meccanismo si può imitare per la produzione di cemento per l’edilizia, che da sola produce il 5-8% delle emissioni di carbonio nella nostra atmosfera. La vita, invece, per costruire usa proprio il carbonio presente nella nostra atmosfera. Similmente alcune aziende stanno riproducendo il processo di auto-assemblamento dei coralli, a partire dall’anidride carbonica e dall’acqua di mare, per produrre materiali grezzi per un’edilizia con un carbon footprint positivo.
In questo senso, un lento cambiamento di paradigma sta già avvenendo. Ma è evidente che molte di queste cose un designer non le sa, un ingegnere neppure. Per rendere questo cambiamento effettivo è necessario un “servizio di intelligenza biologica” (Biological Intelligence Service, BIS). A questo proposito Benyus ha creato AskNature.org, un servizio di domande e risposte sui “design” della natura. Un sito che spiega più di 1700 strategie biologiche, fornendo ispirazione a designer, ingegneri e scienziati. Partendo dalla domanda “come fa la natura a..” fornisce una serie di suggerimenti biologici su come una certa funzione venga realizzata in natura (ad esempio: “Come fa la natura a creare i colori?” “Con le microstrutture”).
La ricerca della funzione è il motivo principale per cui il Bio-inspired Design si discosta dalla biologia tradizionale, che ha invece l’obiettivo di descrivere i meccanismi molecolari che stanno dietro a una determinata funzione. Questo tipo di design, invece, non necessita di una ricerca accurata di tali meccanismi, ma si concentra sull’imitare la funzione, diminuendo la difficoltà e i tempi della ricerca e aumentando immensamente il suo potenziale sociale. Infatti, il più grande problema della ricerca accademica è che (purtroppo) è incredibilmente definita da questioni economiche e si focalizza principalmente sul produrre conoscenza sotto forma di articoli scientifici. Più gli articoli vengono citati, più il laboratorio che li ha pubblicati acquisterà fama e, di conseguenza, fondi. La conseguenza di ciò è un enorme gap tra laboratori “ricchi” e “poveri”, in quanto questi ultimi, avendo a disposizione meno risorse, pubblicheranno meno, e di conseguenza saranno difficilmente citati e mai competitivi. Concentrarsi sulle illimitate funzioni della natura e descriverle non solo è più semplice, richiede meno risorse, ma è anche più gratificante, perché produce tecnologie anziché solo conoscenza. E per questo motivo, il Biomimicry design ha un maggiore potenziale di impatto sulla società rispetto alla biologia tradizionale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Il cambiamento di paradigma a favore della vita, nel contesto attuale, è necessario e urgente, e sembra al momento l’unico modo per raggiungere uno sviluppo sostenibile. Abbiamo la grande presunzione di essere le creature più intelligenti del pianeta. Studiando come la natura risolva i problemi, ci rendiamo conto in realtà che le sue soluzioni sono spesso molto più efficienti ed eleganti delle nostre, oltre a essere completamente sostenibili.
L’antropocentrismo ci ha abituato a considerarci su un livello superiore rispetto al mondo naturale, di cui abbiamo dimenticato di far parte e di esserne dipendenti. Dobbiamo iniziare a misurare il successo delle nostre tecnologie con i principi della natura, che si possono riassumere con il mantra “la vita crea condizioni che conducono alla vita”. Iniziamo a farlo anche noi. Che il design (e la scienza) riparta dalla natura.